Ammettiamolo: spaccare le uova di Pasqua è uno dei rari gesti in cui è consentito rompere qualcosa nel plauso generale. Per i bambini pone fine all’attesa di scoprire la sorpresa e dà inizio alla scorpacciata, autorizzata, di cioccolato. Da adulti… quasi lo stesso! Ma le uova di rito a Pasqua sono anche quelle vere, sode e dal guscio colorato in bollitura (al naturale aggiungendovi bietole per il verde, barbabietole per il rosso, zafferano per il giallo, bucce di cipolla per l’arancione).
Guscio, ancora una volta, destinato a rompersi per gioco prima che per il consumo: come in occasione di “Ponta e Cül” una singolare manifestazione che ricorre, a Pasqua e Pasquetta, nel comune di Fiorenzuola d’Arda (PC). Qui, grandi e piccini si sfidano a coppie, “armati” appunto di un uovo sodo le cui estremità vengono chiamate “ponta” (la punta) e “l’cull” (il fondo). Si inizia battendo punta contro punta e, se questa si rompe, si passa a fondo contro fondo. L’uovo che per primo si rompe da entrambe le parti, viene ceduto al vincitore che passa a sfidare un altro concorrente.
Evento molto simile è il “Punta e Cul” di Urbania (PU): le uova sode, in numero doppio rispetto ai partecipanti, vengono disposte a terra a formare una S. Fatta la conta si individua chi inizia il gioco: il sorteggiato sceglierà con attenzione l’uovo valutandone dimensione e consistenza e obbligando gli altri a prendere i successivi. Con i concorrenti disposti in cerchio, il designato inizia la gara in senso antiorario battendo il proprio uovo con quello del vicino: vince e intasca le uova che riesce a rompere e continua finché il suo uovo resiste. E così via per due giri. Al termine, il gioco riparte battendo la parte dietro e intatta dell’uovo, appunto il cul.
Simile usanza, ma con le uova crude, si rinnova a Pasqua in Valnerina a Ferentillo (TR) con la festa de Lu Ciuccittu: qui a battere la punta (pizzè) delle uova sono i “Ciucciettari” dei Terzieri di Matterella, Sacrato e Borzino, secondo la suddivisione del XVI secolo e vince sempre colui a cui resta in mano l’uovo intatto. Il gioco sembra risalga all’epoca dei longobardi scesi in Umbria al seguito del sovrano Liutprando, quando i giovani iniziarono a picchiare le punte delle uova l’un l’altra fin quando non si apriva un piccola fessura che consentiva di “ciucciare” il gustoso tuorlo. La festa prevede anche altri giochi a tema: “lo lancio dell’Ovo” in cui due terzieri per volta, in un campo da gioco perimetrato e diviso da una corda alta 2,50 metri si lanciano le uova e chi non afferra l’uovo e lo fa cadere perde; “Lo tiro a lo Galle” che consiste nel centrare con un uovo un piccolo foro di 10 cm ricavato in una tavola di legno dove è disegnato un gallo. Le uova rotte, recuperabili, servono poi per cuocere una grande frittata, insaporita con il tartufo locale.
Ancora le uova– ma questa volta sode e fatte rotolare come bocce – sono protagoniste nel Veneto: a Treviso si dice “tempo di Pasqua, tempo di Righea”, ossia occasione di festa per divertirsi giocando a righea (o “rigolana” come viene chiamata nel Coneglianese). Qui le uova sode dipinte vengono fatte rotolare nell’ampia conca di un catino realizzato con argilla, terra e sassi. Una tradizione pasquale che fonda le sue radici nella cultura contadina di metà Ottocento e che fino a non molti anni fa veniva riproposta in una quindicina di borghi, oggi drasticamente ridotti. Lo scopo è di colpire le uova avversarie, ammaccandole senza danneggiare le proprie, o di far raggiungere all’uovo la moneta gettata nel campo, così vincendola. Quando, dopo aver subito più colpi, le uova sono troppo ammaccate vengono ritirate dal campo dall’arbitro, il ranzinier, con un apposito bastone (ranzìn) e sbucciate si possono mangiare con un po’ di sale. E il giro ricomincia con nuove uova.
Non da meno è Tredozio (FC): qui Sagra e Palio dell’Uovo vedono in gara i quattro rioni locali in competizioni diverse oltre a coinvolgere la cittadinanza in giochi aperti a tutti. Come la maxi battitura dell’uovo sodo dove, come nelle dispute precedenti, ci si sfida battendo le uova sode (ritirate con un ticket d’ingresso) una contro l’altra. Si prosegue con il Mattarello d’oro, conferito alla più abile soglina, ovvero azdòra, termine che rimanda alle massaie romagnole specialiste nel tirare col mattarello la sfoglia di pasta all’uovo utilizzando un impasto di gr.700 in non più di 8 minuti. Vince chi la realizza con il diametro maggiore. In barba alla tradizione, il campione è un signore che ha finora raggiunto un diametro di 108,5 cm. Nell’ambito di questo evento si svolge anche il Campionato Nazionale Mangiatori di Uova Sode che annovera fuoriclasse capaci di mangiare (ma meglio si dovrebbe dire ingoiare) 22 uova sode in 3 minuti. Ancora uova, ma in quantità massicce, per le altre gare del Palio: la “battaglia delle uova” crude, con il lancio di 600 uova per ogni tornata; la gara “dell’uovo nel pagliaio” con la ricerca di circa 200 uova sode nascoste in un capiente pagliaio; la gara “dell’uovo in bersaglio” con il lancio di uova crude verso un maxi bersaglio con la squadra avversaria che ne ostacola la traiettoria con una pala di legno.
Una tradizione tipica, invece, di tutto il Piemonte meridionale – Langhe, Roero, Monferrato, Alessandrino e Acquese – è quella del Cantè j’euv (Cantar le uova): un tempo, nelle notti di fine Quaresima, gruppi di giovani vagavano di cascina in cascina muniti d’un grosso cesto, facendo la questua delle uova in cambio di serenate, con strofe, anche improvvisate, accompagnate da fisarmonica e clarino. Ora, in prossimità di Pasqua, tutti i cantorini si ritrovano in piazza per una nottata di folklore, musica, canti, goliardia e convivialità (in origine, va ricordato, alle famiglie avare che non aprivano la porta erano indirizzate, viceversa, alcune strofe di “maledizione”). (Claudia Ghelfi)
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