Dedicare un museo al gelato significa tributare un omaggio a una delle bontà più semplici, diffuse e gradite a grandi e piccini. In Italia ci ha pensato, per primo, uno specialista: è la Carpigiani, leader di mercato nella produzione di macchine per gelato, i cui fratelli Bruto e Poerio furono ideatori e produttori dell’Autogelatiera fin dal 1946. Nella sua sede di Anzola dell’Emilia (nei pressi di Bologna) ospita infatti uno spazio di mille metri quadrati che ha come protagonista il gelato attraverso la tecnologia, la storia, la cultura e, perché no, anche l’evolversi del costume attraverso i modi e i luoghi del suo consumo: qui i visitatori trovano 25 macchine originali, 10.000 fotografie, postazioni multimediali con testimonianze audiovisive e documenti storici, nonché preziosi strumenti e accessori d’epoca. Come è lecito aspettarsi, ogni visita guidata si conclude con una degustazione alla gelateria del Museo. Per approfondire le tecniche di produzione vengono poi organizzati laboratori in collaborazione con la Carpigiani Gelato University, la scuola internazionale di gelateria oltre ad iniziative specifiche per le scolaresche. Il progetto del Gelato Museum Carpigiani, inaugurato nel 2012, è stato curato dagli architetti Matteo Caravatti e Chiara Gugliotta che hanno riconvertito spazi di matrice industriale in un luogo luminoso e accogliente.
Il Carpigiani resta il primo in Italia, ma l’intento è stato perseguito anche a Murano (sì, l’isola veneziana famosa per il vetro soffiato), questa volta da un brand e un franchising di gelato: qui troviamo il Michielan Gelato Active Museum, punto vendita e area museale aperto nel 2019 dopo quello da ben 1600 mq inaugurato insieme alla fabbrica nel 2017 a Jiaxing, in Cina (entrambi su progetto di Moville, specializzata in comunicazione d’impresa).
Viene da chiedersi: possibile che gli americani non ci abbiano pensato? A modo loro, sì. A New York (dopo le presenze itineranti a San Francisco, Miami e Los Angeles) c’è il Moic (Museum Of Ice Cream) uno spazio a tema coloratissimo e ideale per selfie, anch’esso di matrice commerciale, “progettato per essere un ambiente e una comunità culturalmente inclusivi, ispirando la connessione umana attraverso il potere universale del gelato”; oltre al tour interattivo si può prenotare un workshop per creare un gusto gelato del tutto personale e scoprirne gli abbinamenti alcolici ideali.
Un capitolo a parte merita la storia – assai controversa – dell’invenzione del cono gelato che sarebbe da attribuirsi a un immigrato italiano a New York: Italo Marchioni, il cui brevetto è del 1903. Però Antonio Valvona, un altro italiano suo collaboratore, aveva depositato un anno prima (1902) un brevetto molto simile sulla scorta del quale fece causa al primo: vinse ma senza riuscire ad intaccare la fama del rivale. Nessuno di loro, tuttavia, aveva inventato il classico cono ma dei contenitori edibili per gelato, cioè dei biscotti a forma di tazza. Una storia parallela, allora, attribuisce la paternità del cono al pasticciere siriano Enrst Hamwi che, durante l’esposizione internazionale a St. Louis, Missouri, nel 1904, arrotolò una zalabia (una sorta di wafer) per contenere il gelato venduto dal vicino di stand – tale Arnold Fornachou o forse Charles Menches – che stava finendo i piattini in cui servirlo. Inutile aggiungere che pure gli ultimi due menzionati si fecero avanti per pretendere la paternità dell’invenzione…
(Claudia Ghelfi)

 

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